PROGETTO CIELI DEL MONTEFELTRO
PER GLI ANTICHI
IL CIELO
ERA IL LUOGO DELL'ANIMA
I numerini che compaiono come titoli delle foto rappresentano il giorno, mese, anno e secondi in cui è stata scattata la foto. Una scelta precisa che rispecchia il progetto. Nessuna foto é casuale ma il prodotto di un'attesa, di un tempo costruito, meditato per aprire spazi sulla contemplazione che é anche uno sguardo interiore oltre che sulla natura, in un rimando che moltiplica come attraverso uno specchio contenuti e immagini.
photo @ giampiero bianchi
Il paesaggio in parole.
CONCHE DI LUCE
I cieli del Montefeltro
Dell’arte fotografica si è messo spesso in evidenza la capacità di catturare un momento di vita, cristallizzandolo, rendendolo eterno. Una funzione contrapposta all’ampia sintesi di tempi che offre la pittura ma alla quale la pittura, fraintendendo, si è sottomessa. Meravigliosa è, invece, quella fotografia che all’opposto ricerca la vastità pittorica e con minore o maggiore consapevolezza – a volta si tratta di istinto, d’intuizione felice, di gusto finissimo – sa ripercorrere gli spazi luminosi dell’arte quattrocentesca, incontro sponsale dell’antica mistica e della moderna cultura umanistica.
Così sono i cieli del Montefeltro pazientemente raccolti da Giampiero Bianchi, grafico colto e di freschissima intelligenza visiva. A chi ama la “pictura antiqua” suscitano il lucente ricordo dei fondi paesaggistici dell’arte sacra di Giovan Battista Cima da Conegliano (ca. 1459-1518) o del più “domestico” Lattanzio da Rimini (not. 1453-1524), quasi replicando la loro solennità agreste, a metà tra la “visio religiosa” e la più moderna mistica della Natura. Il tratto più vicino ad un sentire attuale, seppur sempre “classicista” e rigoroso, si percepisce in una certa risonanza con la lirica visionaria e potente dell’ultimo Friedrich Hölderlin (1770-1843), ferito e benedetto da una lunghissima pazzia. Della pittura religiosa del XV secolo le fotografie di Bianchi conservano il passaggio stilistico dall’oro in foglia all’azzurro vivo del cielo, che è quasi traduzione del primo nel secondo.
E, di fatto, ogni paesaggio si schiude come un’immensa conca di luce dove trova misura l’apertura all’incommensurabile. Della lirica mitopoietica del XIX secolo, Giampiero custodisce, invece, l’esplicita apertura filosofica e sapienziale, l’attitudine greca al contemplare e quella semitica al domandare e all’attendere. Come il poeta e come il paesaggista il fotografo sa dischiudere i luoghi del Montefeltro alla dimensione originaria che già udimmo nei versi hölderliniani: «S’aprono i campi come al giorno del raccolto. / È intorno la leggenda, spirituale, antica. / Torna dal mondo umano rinnovata / la vita. L’anno affonda nel silenzio».
Alessandro Giovanardi
Di fronte alle foto di Giampiero Bianchi è facile lasciarsi andare ad espressioni di meraviglia. Certe sue panoramiche fanno pensare ai grandi fondali dei maestri del Rinascimento che prorpio in queste terre hanno operato. Io, da parte mia, appena le ho viste mi sono entusiasmato perchè ho subito notato che non si tratta soltanto di vedute rinascimentali. C’è qualcosa di più elementare e primitivo che si ricollega alla ricerca ventennale che vado conducendo sulle leggende di queste terre. Come di fronte ad un mito il significato più vero non è mai apparente, dopo un po’ che le si osserva con attenzione si arriva a comprendere che custodiscono misteri, epifanie della natura, enigmi del vedere.
Enzo Fabbrucci