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Proiezioni dirette, 1950

Vetrini 240 x 360 mm

S. Leo, Palazzo Mediceo

Materiali misti: cellophane plastica, rete colorata, pellicola grattata, foglia secca, fili di lana, lacerti di tessuto

 

La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatati su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.

 

“Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato le successive installazioni luminose.

 

Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali.

L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.

 

Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce.

Per cui Munari in questi lavori esplora la smaterializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”

 

>In questa sede una selezione di vetrini di Proiezioni dirette è disposta in sequenza di 6 ogni 12 minuti per permettere allo spettatore la visione della varietà di soggetti creati da Munari con questa particolare tecnica.

 

“Lo stesso Munari ­– scrive ancora Hàjek – aveva cercato di dinamizzare queste immagini utilizzando vetrini multifocali  che mutano la percezione per mezzo della variazione della profondità. Cerca anche di introdurre il movimento proiettando i vetrini in sequenza come se fossero dei fotogrammi di un film.

 

Il problema di neutralizzare l’effetto caleidoscopio (che tramite prismi fissi crea mutazioni di immagine fisse e ripetitive) nelle proiezioni è risolto dall’artista facendo entrare gli spettatori all’interno degli ambienti, provocando così continue interferenze ed imprevedibili mutazioni dell’opera.”

 

 

Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hajek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

Vetrini in sequenza ritmata, 1950-53

 

Pennabilli, Fondazione Tonino Guerra
Montecerignone, Chiesa di S. Caterina
Belforte all’Isauro, Castello di Belforte

Materiali misti: rete, carte, plastiche, tessuti colorati, fili di lana

 

La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatati su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.

 

“Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato le successive installazioni luminose.

 

Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali.

L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.

 

Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce.

Per cui Munari in questi lavori esplora la smaterializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”

 

>Nelle sedi di Pennabilli, Montecerignone, Belforte all’Isauro

viene presentata al pubblico una particolare tipologia di opera di luce, quella “a sequenza ritmata”, selezionando una serie di vetrini proposti da Munari in successione stabilita, come se fossero fotogrammi di un film. I vetrini sono stati composti con materiali e forme omogenee per favorirne un effetto di movimento.

 

Con questi esperimenti Munari cercava infatti di dinamizzare le immagini delle sue proiezioni luminose, simulando un movimento che sarà otticamente prodotto a partire dal 1953, quando Munari inserirà i  vetrini  tra due filtri Polaroid.

 

Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hajek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

Proiezione a luce polarizzata, 1953

Vetrini 400 x 400 mm

 

Novafeltria Chiesa di S. Marina

Materiale: foglio di cellophane incolore ripiegato

 

Piandimeleto Castello dei Conti Oliva

i su superfici murali come veri e propri quadri luminosi, simili ad affreschi di luce.

 

“Le opere che Munari ha chiamato Proiezioni dirette – scrive Miroslava Hàjek –  insieme a quelle successive denominate Proiezioni a luce polarizzata, sono opere diffuse nello spazio, che hanno anticipato leOliva

Materiale: foglio di cellophane incolore ripiegato

 

 

La ricerca di Munari sulla esplorazione della luce inizia nel 1950 con oggetti vari inseriti in vetrini di diapositive e proiettatat successive installazioni luminose.

 

Si tratta di opere polimateriche realizzate  in forma di comuni vetrini da diapositiva che una volta proiettate assumono dimensioni monumentali.

L’idea di proiettare l’opera d’arte è la logica conseguenza del lavoro precedente di Munari, iniziato con l’esplorazione dell’ombra, nel ciclo di Macchine inutili, ripreso in Concavo-convesso del 1947.

 

Munari era sempre più affascinato dal movimento di luci e ombre, logico quindi il passo verso la ricerca successiva che culmina proprio nel 1950 con i vetrini per le Proiezioni dirette. Opere realizzate con varie tecniche, innanzi tutto collage e interventi pittorici. I materiali utilizzati sono tra i più disparati, cellophane colorati, foglie, plastica bruciata, buccia di cipolla, fili di lana, retini, ecc. Gli originali restano nascosti poiché inseriti nel proiettore e quello che vediamo è un’immagine ingrandita, che diventa un affresco monumentale dipinto con la luce.

Per cui Munari in questi lavori esplora la smaterializzazione dell’opera e la sua trasposizione assolutamente nuova per dimensione e consistenza.”

 

>Nelle sedi di Novafeltria e Piandimeleto vengono presentati al pubblico vetrini a luce polarizzata, realizzazioni create a partire dal 1953, “quando Munari – continua Hàjek – inserisce i vetrini tra due filtri Polaroid. Ruotando il filtro posto davanti al proiettore, la luce polarizzata attraversa i materiali contenuti nel telaio e si scompone nei colori dello spettro, provocando continue variazioni dell’opera.”

 

Munari aveva introdotto nelle sue immagini di luce il movimento in sequenze cromatiche casuali e del tutto estranee alla determinazione dell’operatore. La rotazione del filtro era in grado di produrre infatti un movimento illusorio, come aveva in precedenza tentato di fare con le Proiezioni a sequenza ritmata. Munari era ben conscio di essere stato il primo nella storia dell’arte ad intraprendere questa ricerca.

 

Così si possono meglio descrivere le sue finalità creative:

 

 “Il fine è quello di ottenere immagini in cui i cambiamenti di colore si producono secondo la natura e non secondo il gusto personale di qualcuno. La risposta tecnica è di usare filtri polarizzati e di introdurre materiali senza colore, a stratificazione variabile, tra i due filtri. Queste stratificazioni e questi spessori determinano e definiscono le zone colorate, mentre la rotazione di uno di questi filtri permette la modificazione dei colori stessi su un ciclo cromatico completo…” (Frank Popper, L’arte Cinetica. L’immagine del movimento nelle arti plastiche dopo il 1860, Einaudi, Torino 1970, p. 216).

 

All’autocreazione cromatica delle immagini si aggiungono la proiezione su superfici di diversa morfologia architettonica e la presenza degli spettatori all’interno degli ambienti di luce, con continue interferenze e imprevedibili mutazioni dell’opera.

 

Gli spettatori delle due sedi di proiezioni a luce polarizzata vedono solo alcune delle possibili variabili di creazione delle immagini poiché è stata riprodotta in ripresa digitale una sola serie interventi di rotazione del filtro.

 

Brani tratti da Miroslava Hajek, “Bruno Munari. Fantasia esatta”, in Miroslava Hàjek, Luca Panaro, Fantasia esatta. I colori della luce di Bruno Munari, catalogo della mostra, edizioni APM, Carpi, 2008.

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